György Ligeti nacque nel 1923 in Transilvania, precisamente a Dicsöszentmárton, in una zona che allora apparteneva all’Ungheria e dal 1947 alla Romania. Studiò con Sándor Varess all’Accademia di Budapest, dove fu insegnante dal 1950 al 1956, quando, fuggito dall’Ungheria, si trasferì a Vienna. Lavorò inoltre con Stockhausen presso lo Studio di musica elettronica di Colonia e insegnò ad Amburgo e Stoccolma, tenendo anche alcuni corsi estivi presso la fucina della “Nuova Musica” di Darmstadt.
Già agli esordi sentì urgente la necessità di andare oltre la tradizione post-bartókiana, che pure aveva ne caratterizzato la formazione; e finché non entrò in contatto con le soluzioni dell’Avanguardia europea, si dedicò alla sperimentazione su strutture ritmiche, timbriche e seriali elementari, come nel tentativo di ricominciare da zero. Il lavoro più rilevante di questo primo periodo della parabola creativa ligetiana è il primo quartetto per archi Métamorphoses nocturnes (1953-54).
Due importanti pezzi per orchestra, Apparitions (1958-59) e Atmosphères (1961), segnano, per così dire, il nuovo debutto del musicista, ora del tutto avvertito circa gli sviluppi più recenti della musica colta europea. Essi sono caratterizzati da una tecnica di fasce o di aggregati, di superfici e strutture sonore di colore e densità variabili. L’effetto prodotto è quello di una musica priva del senso del tempo, che è come sospeso in un’immobile contemplazione. L’altro aspetto determinante dello stile “formato” di Ligeti si colloca all’opposto di tale estrema staticità e precede una mobile e frantumata “micropolifonia”: un reticolo di linee minutamente addensate in un tessuto inestricabile e variegato. Appartergono a questa ampia fase dell’attività ligetiana, perdurante fino oltre la metà degli anni settanta, alcune importanti composizioni come le azioni drammatico-musicali Aventures (1962) e Nouvelles Aventures (1962-65), il Requiem per soprano, 2 cori e orchestra (1963-65), Lontano per orchestra (1967), le Ramifications per archi (1968-69), il Secondo Quartetto (1968) e il Kammerkonzert per 13 strumentisti (1968-70).
La fase successiva, che si suole identificare con l’andata in scena dell’opera Le Grand Macabre (Stoccolma, 1977), ispirata a Ghelderode, è considerata “retrospettiva”, in quanto il musicista ha spesso e volentieri fatto i conti con il retaggio del passato, prossimo o remoto che fosse, pur mantenendo i tratti di assoluta originalità e genialità che gli sono propri. Tra i lavori principali di quest’ultimo periodo si ricordano il Trio per violino, corno e pianoforte (1982), le tre Phantasien per coro su testi di Hölderlin (1983) e il Concerto per violino (1992).
Comune a tutti i periodi della parabola creativa ligetiana è il personale gusto per una ricerca sonora affatto particolare, che ha indotto il musicista sia a utilizzare le moderne risorse dell’elettronica e dell’informatica musicale, sia a “attualizzare” le sonorità degli strumenti tradizionali, anche quelli storicamente connotati come il settecentesco clavicembalo, cui sono dedicati i celebri pezzi Continuum (1968), Passacaglia ungherese (1978) e Hungarian Rock. Chaconne (1978).
Da segnalare infine che diverse musiche di Ligeti sono state utilizzate da alcuni registi cinematografici come colonne sonore di famose pellicole, tra le quali si ricordano 2001: Odissea nello spazio e Shining di Kubrik.
Ligeti è scomparso a Vienna il 12 giugno 2006.
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